Nelle università si va diffondendo la pratica del “voto al prof”: gli studenti esprimono le loro valutazioni sui docenti, anche nella più odiosa e detestata delle forme, quella numerico-decimale; con risvolti tragicomici. Si è persino assistito al grande ritorno del 6 politico, nel senso che, a Padova, i prof si sono arrotondati i voti, così un 5,5 è diventato sufficienza e i docenti si sono (auto)promossi alla “fascia intermedia”, facendo infuriare gli studenti dell’ateneo. Paolo Guiotto, docente di matematica, evidentemente arguto e faceto, ha iniziato una sua lezione con l’annuncio: “Dunque, sarete promossi con 16,5 su 30, in virtù della proprietà riflessiva. Insomma, se per un docente va bene una sufficienza a 5,5, è giusto che uno studente possa superare un esame con 16,5.”
Si tratta, comunque, di un interessante esperimento, che andrebbe perfezionato ed esteso. Sarebbe molto utile provare a riflettere su criteri, indicatori, parametri di qualità della prestazione professionale dei docenti (sottratti a qualsivoglia forma di rendicontazione e responsabilità), onde evitare valutazioni meramente “sommative”, aribitrarie discrezionalità, giudizi sommari, verdetti umilianti, come quelli troppo spesso inflitti agli studenti più deboli e bisognosi (di accoglienza, riconoscimento, sostegno).
Per ragionare sulla questione, in mancanza di riferimenti accreditati, ho pensato di rivolgermi a mio figlio, Elia, e al suo amico Filippo: 12 anni – seconda media.
Alla domanda: “Quando un prof è un bravo prof” hanno risposto:
“Un prof è bravo quando:
- spiega bene, e fa capire le cose, così tutti ce la fanno;
- aiuta chi non riesce, senza umiliarlo;
- fa lezione in modo divertente, che non ci si annoia;
- non urla in continuazione come un isterico;
- fa rispettare le regole giuste;
- ascolta tutti e non solo i “soliti”;
- permette di muoversi: stare sempre seduti è una sofferenza;
- non fa “preferenze”, che ci si resta male;
- non dà compiti, che non rimane tempo libero;
- non dà “note”, che non servono a nulla e fanno dispiacere.
Forse potrebbe partire da qui, in questo modo, un percorso di autoanalisi professionale. Sarebbe bene, oltreché decente, che maestri e professori provassero ad autovalutarsi, concordando e pubblicizzando criteri e strumenti. Ma si può anche non fare nulla e continuare a comportarsi come se la scuola fosse sempre giusta e i ragazzi (che non “riescono”) comunque sbagliati.