Difficoltà di apprendimento, disturbi dell’attenzione, iperattività, bisogni speciali… problemi sempre più diffusi che preludono a insuccessi, abbandoni, espulsioni.
Non possiamo illuderci che fenomeni così vistosi e allarmanti rappresentino eccezionali deviazioni rispetto a una sana e diffusa normalità; e dobbiamo smetterla di attribuire a vittime incolpevoli di un sistema malato la responsabilità della loro disagiata condizione.
Evidentemente la nostra scuola è troppo sbilanciata verso una logica della prestazione, che, tra l’altro, tende a confondere il virtuosismo servile con la qualità degli apprendimenti.
I pur lodevoli progetti di educazione alla salute sono destinati al fallimento proprio per il carattere di «alterità» rispetto alle attività ordinarie, in tal modo confermate nei loro tratti costitutivi: gli uni legittimano, di fatto e di diritto, le altre. Proprio perché al benessere degli studenti sono finalizzate specifiche iniziative, extracurricolari, non v’è motivo di rimettere in discussione gli insegnamenti tradizionalmente più accreditati, quelli riferiti alle materie curricolari. La dimensione emotiva e affettiva dell’apprendimento (così come la percezione e l’attribuzione di “senso”) è in tal modo consegnata a esperienze “separate” e marginali, quando invece dovrebbe essere restituita alla normalità dell’insegnamento, permeare le routinesquotidiane del setting scolastico, rientrare nelle attribuzioni di tutti i docenti, e non solo dei pochi designati, con delega esclusiva.