La valutazione, in tutti suoi aspetti e in ogni fase, cambia sostanzialmente di segno se non la consideriamo più come un adempimento formale ma come espressione del diritto ad essere valutati che la scuola deve garantire ad alunne ed alunni. Tra i diritti dei bambini e delle bambine internazionalmente riconosciuti si pone “il diritto ad essere conosciuti/e e ri-conosciutI/ e “, e ad acquisire anche gli strumenti per conoscersi e ri-conoscersi.
La valutazione è formativa quando consente di descrivere il percorso, di collocarsi al suo interno, di acquisire consapevolezza delle proprie potenzialità; quando non classifica, ma promuove conoscenza ed autoconoscenza.
Un diritto oggi non garantito in quanto la legislazione vigente non lo prevede.
Per noi la valutazione formativa accompagna i processi di insegnamento/apprendimento nel loro svolgersi, offre possibilità immediata di aiuto in tempo reale agli allievi per superare le difficoltà o le lacune, in caso di insuccesso induce un’ autointerrogazione da parte del docente sul proprio metodo, sulla propria prassi didattica, sulla propria modalità relazionale, sull’adeguatezza della sua cultura psicopedagogica oltre che disciplinare, per un autoaggiustamento, l’utilizzo di una strategia didattica alternativa più adeguata a superare le difficoltà ed un’analisi accurata delle possibili cause. Ascrive la responsabilità dell’eventuale mancato apprendimento non più soltanto all’allievo (poca intelligenza, mancata applicazione, demotivazione, ecc) ma sollecita l’assunzione di responsabilità, per quanto attiene del binomio insegnamento-apprendimento
Il voto, presentato come valore in sé assoluto ed oggettivo, produce effetti di riduzionismo e semplificazione rispetto alla complessità e pluridimensionalità delle esperienze di apprendimento.
La reintroduzione del voto numerico nel primo ciclo sancito dalla legge 169 ha ridato vigore, se ce ne fosse stato bisogno, alle pratiche di scuola più tradizionali, quelle che si fondano su una fase di spiegazione, seguita da studio individuale e poi dalla sua successiva verifica. Se vi è stato negli anni qualche segno di innovazione è comunque rimasto confinato al livello degli strumenti utilizzabili, ma non ha minimamente scalfito questa rigida sequenza.
Non poteva essere altrimenti, visto che il ritorno al voto numerico ha significato legittimare la logica e prassi della scuola del secondo ciclo, in particolare della scuola “superiore”, ritenendole valide in assoluto e per qualunque fascia di età scolare.
Occorre però ricordare che nessuna disposizione o norma impone esplicitamente di utilizzare i voti numerici in tutte le fasi di verifica/valutazione che intercorrono fino alla valutazione finale (sommativa). Sarà pertanto opportuno esercitare l’autonomia professionale e, collegialmente, l’autonomia didattica, di sperimentazione e ricerca (cfr. D.P.R. 275/99) per adottare nelle fasi intermedie e dunque in tutto il corso dell’anno scolastico quegli strumenti di verifica/valutazione ritenuti coerenti con la programmazione educativo-didattica e con il POF. Nessun obbligo di dare voti numerico-decimali nel corso dell’anno, a eccezione della valutazione sommativa del 1° e 2° quadrimestre.
Analoga considerazione va fatta in merito agli effetti deleteri del ‘peso’ del voto di condotta nella scuola secondaria.
Ci sembra che oggi sia maturo il tempo per rimettere in discussione tanto la logica che le prassi, alla luce della loro incoerenza rispetto alle linee su cui corre il ripensamento complessivo della didattica del primo ciclo, sostanziato nelle nuove “Indicazioni” del 2012 che fanno riferimento esplicitamente a una valutazione formativa.
Nelle Indicazioni, infatti, pur non facendo diretto riferimento alle forme di valutazione, si sottolinea la necessità che questa rispecchi il livello di complessità che richiede l’apprendimento di competenze. Questo comporta la necessità di progettare e utilizzare nuovi strumenti idonei alla documentazione del processo di apprendimento.
Di fronte a questa complessità, saper valutare l’apprendimento si lega indissolubilmente anche al saper descrivere come questo si incardina e incarna negli atteggiamenti degli alunni di fronte ai compiti di realtà che la scuola deve proporre loro. E’ chiaro che rispetto a questo modello di valutazione il voto numerico appare in tutta la sua inadeguatezza.
Tempi ristretti e rapidità delle forme di compilazione mal si conciliano con un’idea di individualizzazione degli apprendimenti, di rispetto dei diversi stili e ritmi di apprendimento, di comunità docente riflessiva, di motivazione intrinseca.
Inoltre i modelli proposti recentemente per la certificazione delle competenze al termine della scuola primaria e secondaria di primo grado, pongono un problema di sovrapposizione fra i due tipi di valutazione ( uno per voti e l’altro per livelli di maturazione) che è insostenibile.
E’ evidente che la compilazione della certificazione richiede a monte una riconversione didattica, senza la quale l’uso del modello proposto si ridurrebbe a un atto formale e sterile.
E’ doveroso progettare e utilizzare nuovi strumenti idonei alla documentazione del processo di apprendimento.
La competenza, infatti, non si verifica per restituzione verbale e in astratto di una procedura decontestualizzata, ma attraverso la documentazione di un “agire competente” a cui va garantito il contesto specifico e il tempo necessario per svilupparsi.
Non possiamo infine trascurare una riflessione sullo stretto nesso tra “capacità” e “scelta” che forma il cuore dell’Art.4 della nostra Costituzione.
La funzione della scuola- a partire dalla scuola primaria – va individuata principalmente nell’azione di carattere maieutico volta a far emergere in ogni alunno/alunna quelli che volgarmente vengono definiti “talenti”, ma che corrispondono a normali attitudini e- in corrispondenza- stimolare le capacità per farne l’obiettivo delle proprie scelte nel quadro del principio di solidarietà.
La “capacità” può essere sostenuta dalla motivazione, che a sua volta è frutto di un’azione educativa mirata a infondere sicurezza in se stessi, e insieme curiosità per l’apprendere.
La dispersione scolastica, cosi’ elevata nel nostro paese, è spesso il prodotto dell’insufficiente attenzione a questi processi , e il voto numerico che inesorabilmente bolla chi “non ce la fa” è il principale ostacolo a una pedagogia del successo scolastico..
Così come lo è il superficiale sistema di orientamento nelle scelte di indirizzo, spesso limitato all’ultimo anno del segmento scolastico, basato sul successo dei voti numerici e su consolidati stereotipi di classe e di genere rispetto ai percorsi proposti.
Sul rapporto scuola-lavoro, al centro dell’elaborazione de ‘la buona scuola’, nel testo ‘La buona scuola’ e nel disegno di legge non si fa riferimento alcuno all’articolo 4 della Costituzione dove si parla del lavoro come capacità e scelta. Il documento è invece ispirato alla logica del jobs act.
Firmato:
MCE ; FNISM ; CGD ; CIDI ; ADISCUOLA ;AIMC ; LEGAMBIENTE ; APEF; ADI;ANDIS; UCIIM; PROTEOFARESAPERE ;Comitati per la LIP Scuola e Costituzione