Audizione del CGD al MIUR del 16 maggio 2017 sul tema :
ADOLESCENZA
Su un tema di tale vastità e dalle molteplici implicazioni, crediamo che questo incontro possa essere solo l’avvio di un più ampio work in progress.
Tanto più necessario, oggi, quando la “Buona Scuola” è stata fortemente declinata in senso ipoteticamente funzionale ed organizzativo e non contiene una esplicita visione pedagogica di fondo, né un’analisi volta a leggere il futuro delle giovani generazioni di questo Paese.
La definizione stessa di adolescenza ha uno statuto incerto anche nel nostro comune modo di sentire: è un target variabile che condiziona anche le politiche pubbliche nazionali. Valga come esempio l’utilizzo molto diverso dell’età, per differenziare i giovani dagli altri, ed andare per alcuni dai 14 ai 17 anni o in senso più restrittivo, considerare giovane solo chi abbia raggiunto la maggiore età.
In Italia, ad esempio, il dibattito sul voto ai sedicenni è del tutto aperto e non si prevedono conclusioni certe.
Ma per darci delle coordinate di senso comuni a tutti noi e rimanendo nel campo che questa sede naturalmente pone, concordiamo che ci riferiamo al percorso educativo che va dai 14 ai 17/18 anni e che coincide perciò con l’istruzione secondaria di secondo grado. Pertanto intendiamo l’adolescenza come età di transizione, di passaggio dall’infanzia all’età adulta in cui si maturano competenze fisiche, cognitive e relazionali che connoteranno la sua età adulta.
In cui sono fondamentali:
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La ricerca di nuovi rapporti esterni alla famiglia tra il gruppo dei pari o con adulti significativi (Insegnanti?):
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La spinta a fare nuove esperienze;
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La ricerca di nuovi modelli e valori;
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Le transizioni scolastiche e verso il mondo del lavoro.
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I comportamenti sessuali.
Molte ricerche e la nostra osservazione quotidiana ci rimandano spesso notizie allarmanti sulla situazione adolescenziale per il consumo di sostanze, comportamenti devianti, abbandono scolastico.
Dobbiamo però riconoscere che se i media si occupano dell’adolescenza è spesso solo per dare risalto ed enfatizzare quanto di oscuro o deviante essa esprime col suo malessere, quasi mai per osservarne serenamente il dispiegarsi.
Basti pensare che non esiste neanche, né nelle emittenti di Stato, né in quelle private una produzione mirata a questa fascia di età: si produce e si trasmette o per i piccolissimi o per un pubblico genericamente giovane con una pericolosa tendenza ad adultizzare i più piccoli (vd. I talent show che sempre più hanno come protagonisti bambini che scimmiottano gli adulti).
Una “marginalità”, quella dell’adolescenza, alimentata da un sistema valoriale adulto che sembra incapace di essere punto di riferimento.
Il “quadrilatero formativo” (genitori, scuola, istituzioni e Terzo settore) deve essere consapevole della grande sfida educativa che oggi si pone e delle responsabilità che gli adulti, ogni adulto nel suo ruolo di educatore ha.
Al contrario registriamo da parte degli adulti educanti una maggiore tolleranza rispetto alle trasgressioni, un’incapacità a porre limiti, a dire quei no che privano i più giovani del naturale antagonista, del limite con cui confrontarsi per poter crescere ed essere autonomi, fino ad arrivare all’erosione dell’autorevolezza e dell’autorità.
Non va mai dimenticato che il rapporto educativo è, e deve essere un rapporto necessariamente asimmetrico.
Vale solo come esempio, una delle modalità tipiche della relazione scuola-famiglia nei colloqui docenti-genitori nelle scuole superiori che è comunque indicativa della confusione di ruoli che noi adulti ci attribuiamo.
Gli insegnanti in genere invitano inizialmente i genitori a minore apprensività e controllo sui ragazzi nel percorso della scuola superiore per consentire loro l’esercizio di una certa autonomia: ma sono poi gli stessi insegnanti a reclamare a gran voce la presenza e la vigilanza degli stessi genitori alla prima trasgressione dell’adolescente, in genere alla sua prima autogestione.
In Italia gli adolescenti sono secondo l’ISTAT al gennaio 2015 circa 2.300.000 (vale solo la pena ricordare che, sempre alla stessa data, il 21.7% degli stranieri residenti in Italia sono minorenni e di essi il 3.7% è tra i 14 ed i 17 anni. Cioè a dire che l’8% dei nostri adolescenti è immigrata di prima o seconda generazione). Per questi ragazzi al naturale compito evolutivo di passaggio all’età adulta si aggiungono ulteriori sfide. Se nati all’estero, il compimento dei 18 anni può comportare una grave precarietà di vita: il loro permanere in Italia dipende dalla prosecuzione degli studi o da un contratto di lavoro.
I dati che connotano oggi gli adolescenti sotto gli occhi di tutti sono:
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le nuove solitudini degli adolescenti stessi all’interno di nuclei familiari che vivono spesso in condizioni lavorative stressanti e sono essi stessi consapevoli di dover fare i conti con la possibilità di un futuro peggiore di quello dei loro genitori a causa della crisi economica.
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Una sostanziale modifica delle reti parentali nelle trasformazioni sociali intervenute nel tessuto familiare
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I social network come strumento di relazione privilegiato con i rischi che esso comporta nello spostamento dal reale al virtuale
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L’uso sempre più frequente di sostanze psicoattive usate spesso per sentirsi accettati dal gruppo dei pari o per curiosità e la tendenza all’ abuso di sostanze alcoliche
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Un comportamento sessuale molto centrato sull’apparire, incoraggiato dai messaggi che arrivano dal mondo adulto. Spesso è un comportamento che denota un approccio alla sessualità inadeguato che rivela l’incapacità di opporsi alla pressione sociale
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Il bullismo e cyberbullismo
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Il gioco d’azzardo: l’11% dei ragazzi oggetto di ricerche recenti gioca regolarmente d’azzardo on-line
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L’abbandono scolastico: le maggiori criticità si concentrano nel biennio della scuola superiore. E’ qui che si registra il maggior numero di non ammissioni alle classi successive, di ripetenza e di interruzione del percorso di studi. L’offerta formativa italiana non aiuta le transizioni da un ordine di studi all’altro e nei passaggi si perdono quote di studenti
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il ricorso sempre più frequente allo specialista (psichiatra o psicologo) da parte della comunità educante
Cresce l’ambizione statistica di misurare i fenomeni di bullismo, raggruppando a volte indistintamente sotto questa categoria tutti i fenomeni di prevaricazione, prepotenza, ma anche di devianza e disagio rispetto ai quali le forme di potere che gli adulti esercitano (penso a quelle della scuola registro, voto, sanzione, espulsione) rivelano la loro inefficacia. Cresce la voglia di contenimento se è vero che la reintroduzione del voto di condotta, che confina, determina, definisce atteggiamenti, emozioni, demotivazioni, ritardi che si intrecciano strettamente con il processo di apprendimento, ha incontrato il favore della maggioranza degli educatori -genitori ed insegnanti. Si diffonde la lamentazione sui ragazzi sregolati appunto, non necessariamente violenti, trasgressivi, socialmente disordinati o pericolosi, ma solo incapaci di riconoscere l’esistenza di regole e perciò di rispettarle. Sembra che non siano al corrente dell’esistenza di un galateo sociale diffuso che silenziosamente regolamenta gli scambi sociali, le precedenze, l’uso dei tempi, delle parole, degli spazi sociali.
E’ come se fosse cambiato un dispositivo strutturale, funzionante da generazioni che omogeneizzava il significato dei comportamenti sociali, come se la continuità della trasmissione tra generazioni fosse stata interrotta.
La prima mutazione, allora, è data dal fatto che è saltato il patto generazionale con i giovani. Contano enormemente i modelli veicolati dall’insieme della società e dai media. I valori dei genitori, ad esempio, non si formano più entro comunità culturalmente omogenee bensì in modi molto differenziati. E la società italiana sta conoscendo anche una crisi drammatica nel presidio delle procedure, delle regole e del limite che sono cose fondamentali per poter educare. Ci vuole un grande lavoro per rifondare tale patto.
La seconda mutazione sta, appunto, nel fatto che la scuola non è più il solo luogo dove si accede alle informazioni e ai modi di apprendere. Tutte le discipline sono, infatti, parte della rete e sono accessibili in mille forme, rapidamente. Con la possibilità ulteriore di essere manipolate, variate, confuse, confrontate. Lo stesso modo di imparare – il funzionamento del cervello umano – viene chiamato in causa: organizzazione della memoria, presenza simultanea di molti codici, compresenza di procedure analogiche e logiche, relazione immediata tra produzione costruita e fruita, ecc. Questa è la prima generazione di docenti che ha perso il monopolio delle conoscenze e dei mezzi per trasmetterle. E che deve insegnare a distinguere, scegliere, confrontare, in mezzo a un mare di informazioni complesse e contraddittorie, valutando il sapere e le competenze che i propri alunni hanno
acquisito in moltissimi modi, anche lontano dalla scuola e diversi da come loro hanno imparato.
Lo sgretolarsi dell’alleanza tra famiglie e scuola si colloca in una fase in cui, si radica sempre più tra i genitori la convinzione che la scuola debba essere in continuità con la famiglia. Mai come oggi ci sono state tante denunce a dirigenti scolastici e insegnanti per una bocciatura o per una sanzione. Nel familismo dilagante dei nostri tempi, si sta facendo sempre più debole l’idea che la scuola per sua natura e ruolo sia e debba essere un luogo educativo diverso da quello della famiglia. Non divergente o contrastante, ma diverso perché più aperto, più ricco, più plurale di quanto possa mai esserlo qualsiasi contesto familiare. Spazio pubblico oggettivamente inclusivo in cui si incontrano alla pari ragazzi di diverse condizioni sociali e culturali, sani e disabili, italiani e stranieri, cattolici e musulmani, capaci e meno capaci. Spazio plurale in cui si manifestano senza la pretesa di prevalere diverse opinioni, punti di vista, sensibilità culturali, scelte religiose. Spazio di relazioni tra adulti e giovani, e di giovani tra loro, in cui far maturare consapevolezza civica, intelligenza e rispetto delle istituzioni, condivisione dei principi e delle regole della convivenza democratica, motivazioni alla partecipazione attiva alla vita della comunità, esperienze di solidarietà. Cultura, insomma, nel senso pieno del termine. È questo ruolo inclusivo, strategico per la democrazia, che oggi è intenzionalmente sotto attacco.
CHE FARE?
Emerge chiaramente
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la necessità di politiche adeguate di sostegno al ruolo genitoriale come previsto anche dal IV Piano Nazionale di Azione per l’infanzia
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la necessità di una formazione specifica per i docenti alla relazione con i minori ma anche con altri adulti educatori/genitori
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la necessità di idonei percorsi di educazione all’affettività, alle emozioni e alla sessualità per i nostri adolescenti
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una nuova concezione e una nuova pratica didattica dell’orientamento che coinvolga anche i genitori, troppo spesso, come molte ricerche dimostrano, fortemente condizionanti nelle scelte dei percorsi scolastici dei figli.
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Interventi educativi qualificati da svolgersi congiuntamente e sinergicamente con tutti gli attori del “quadrilatero formativo.