E’ approdato ieri alla Camera lo Ius Scholae, una legge molto moderata sulla cittadinanza ai figli di famiglie immigrate, che può tuttavia aprire il varco al diritto inalienabile di ragazze e ragazzi di ogni provenienza a sentirsi di casa in Italia.
Nonostante i limiti della proposta dell’onorevole Brescia, dobbiamo mobilitarci di nuovo perché entro questa legislatura sia finalmente riconosciuto il diritto di cittadinanza a 900.000 ragazze e ragazzi che abitano le nostre scuole.IL DIRITTO A SENTIRSI DI CASA
Abbattere ogni sorta di muri è un obbligo che come educatrici ed educatori dobbiamo sentire verso tutte le infanzie che popolano il nostro paese.
Se vogliamo che le scuole siano all’altezza della nostra Costituzione dobbiamo chiederci, da insegnanti, genitori ed adulti, quali obblighi verso i più giovani siano ancora disattesi.
Il diritto a sentirsi di casa, a essere tutti ugualmente cittadini nel luogo in cui si studia il mondo e si impara insieme a stare nel mondo penso sia uno dei primi a dovere essere garantito.
Ma per essere tutte e tutti cittadini a pieno titolo a scuola, bisogna esserlo anche fuori, nei paesi e nelle città. E le novecentomila ragazze e ragazzi italiani senza cittadinanza che popolano le nostre scuole, ci ricordano quanto questa assenza di diritti costituisca un’erosione costante di fiducia nel proprio futuro, tanto necessaria per crescere serenamente.
Gli ostacoli che incontrano figlie e figli di immigrati nei viaggi all’estero o nello sport, nel non poter viaggiare e tornare in Italia da altri paesi, nel dovere dipendere dalle incertezze della possibilità di rinnovo della carta di soggiorno dei propri genitori, aggravate dalle pessime leggi sull’immigrazione e dagli infami decreti sulla cosiddetta sicurezza, votati all’inizio di questa legislatura e mai abrogati, in base ai quali furono raddoppiati i tempi di accesso alla cittadinanza circondando la vita dei più piccoli da una costante incertezza, costituisce una ferita grave a cui porre rimedio.
La scuola ha come primo compito il dare dignità alla presenza e al pensiero di tutte le bambine e bambini, di tutte le ragazze e ragazzi che la abitano, da qualsiasi latitudine provengano.
Essere ascoltati e credere in se stessi è la base di quella fiducia reciproca che crea comunità e apre all’apprendimento della lingua e di ogni altro sapere.
Ma questa “piccola cittadinanza”, alla cui costruzione paziente in tante e tanti ci dedichiamo da anni non basta, se non si accompagna a una costruzione culturale capace di opporsi e contrastare tutti coloro che continuano a diffondere i veleni dell’intolleranza e della discriminazione, puntualmente riemersi ieri nelle dichiarazioni bellicose di quei politici che affermano che questa non è una priorità.
Noi docenti, che abbiamo davanti ai nostri occhi tutti i giorni gli oltre novecentomila ragazze e ragazzi senza cittadinanza, pensiamo che insegnare educazione civica a chi non è cittadino a pieno titolo rappresenti una contraddizione a cui abbiamo il dovere di ribellarci.
I DIRITTI, O SONO UNIVERSALI, O SI CHIAMANO PRIVILEGI
La legge presentata ieri alla Camera dall’onorevole Giuseppe Brescia ha molti limiti, ma è un primo passo necessario per rimettere all’ordine del giorno una questione chiave che in tante associazioni e come Movimento di Cooperazione Educativa e Tavolo Saltamuri, ci siamo impegnati a sostenere da anni, convinti che i diritti, o sono universali, o si chiamano privilegi.
Perché non accada di nuovo, come alla fine della scorsa legislatura, in cui la legge sulla cittadinanza ai figli di famiglie immigrate fu affossata per non turbare equilibri politici fondati su compromessi al ribasso. Per questo, fin d’ora anche se le scuole sono ormai chiuse, ci dobbiamo impegnare e cominciare ad immaginare tutte le iniziative possibili perché la scuola riapra a settembre avendo a cuore in modo nitido e chiaro che il diritto alla cittadinanza riguarda l’essenza stessa di ogni educazione alla democrazia.
Proponiamo a tutte e tutti gli insegnanti e a quante più scuole possibili di organizzare in autunno settimane di iniziative aperte, anche in collaborazione con enti e associazioni presenti nei diversi territori, che inauguri una vasta campagna contro ogni discriminazione nella scuola.
Dobbiamo lavorare a una capillare opera di cura e bonifica sociale e mentale, impegnandoci a costruire e alimentare un immaginario collettivo che sappia riconoscere nella compresenza di culture, lingue ed etnie diverse una grande potenzialità di crescita culturale, sociale ed umana, superando diffidenze e paure.
Dobbiamo contrastare ogni forma di separazione etnica e contrastare con decisione, con atti concreti, l’emarginazione di alunne e alunni stranieri, rifiutando, denunciando e opponendoci in tutti i modi possibili alla formazione di classi ghetto.
Dimostriamo che nelle scuole siamo in grado di costruire comunità inclusive capaci di aprire a un futuro in cui pari diritti siano realmente garantiti a tutte e tutti.
Lo dobbiamo ai più giovani, a cui stiamo consegnando un mondo per troppi versi peggiore di quello che abbiamo trovato.
Franco Lorenzoni
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