RISPOSTA DEL CGD ALLA RISOLUZIONE 7-00203 On.Sasso (lega) su “adozione linee guida volte a favorire il rispetto delle differenze nel sistema scolastico”

Ringraziamo per l’opportunità offerta ad una storica ASSOCIAZIONE GENITORI quale è il
COORDINAMENTO GENITORI DEMOCRATICI ad esprimere il proprio parere sulla risoluzione 7-
00203, presentata dall’onorevole Sasso, recante «adozione di linee guida volte a favorire il rispetto
delle differenze nel sistema scolastico»
Il tema proposto era già stato oggetto di produzione normativa nelle Linee Guida Nazionali emanate dal MIUR nel 2015 che all’art. 1 comma 16 L. 107/2015 recitavano: “……Come già espresso nella circolare del 15 settembre 2015, prot. AOODGSIP n. 1972, la finalità delle Linee guida “non è, dunque, quella di promuovere pensieri o azioni ispirati ad ideologie di qualsivoglia natura, bensì quella di trasmettere la conoscenza e la consapevolezza riguardo i dirittie i doveri della persona costituzionalmente garantiti, anche per raggiungere e maturare le competenze di cittadinanza, nazionale, europea e internazionale, entro le quali rientrano la promozione
dell’autodeterminazione consapevole e del rispetto della persona, così come stabilito dalla Strategia di Lisbona 2000. Nell’ambito delle competenze che gli alunni devono acquisire, fondamentale aspetto riveste l’educazione alla lotta ad ogni tipo di discriminazione, e la promozione ad ogni livello del rispetto della persona e delle differenze senza alcuna discriminazione. Si ribadisce, quindi, che tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né le “ideologie gender” né l’insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo.

Inoltre, è opportuno sottolineare che le due leggi citate come riferimento nel comma 16 della legge 107 non fanno altro che recepire in sede nazionale quanto si è deciso nell’arco di anni, con il consenso di tutti i Paesi, in sede Europea, attraverso le Dichiarazioni, e in sede Internazionale con le Carte”. In questi termini, dunque, la circolare fornisce chiarimenti “riguardo a una presunta possibilità di inserimento all’interno dei Piani dell’Offerta Formativa delle scuole la cosiddetta “Teoria del Gender”, che troverebbe attuazione in pratiche e insegnamenti non riconducibili ai programmi previsti dagli attuali ordinamenti scolastici”.
Già il comma 16 della legge 107 introduceva la cultura della non discriminazione e stimolava
tolleranza, sensibilità e accoglienza e indicava la scuola quale maggiore soggetto istituzionale
chiamato ad introdurre e praticare questi principi. Sussistendo ancora un’arretratezza del nostro
Paese in materia di tutela paritaria dei diritti e della lotta contro ogni discriminazione la scuola è il
luogo, oggi più che mai, dove poter attivare quell’ educazione alla parità di genere, alla prevenzione della violenza sessista e di tutte le altre discriminazioni, anche omofobiche.
E la scuola può (deve) avere un ruolo fondamentale per scalfire quegli stereotipi: educare al
genere significa anche interrogarsi sul modo in cui le varie culture hanno costruito il ruolo sociale
della donna e dell’uomo a partire anche dalle caratteristiche biologiche.
Combattere i pregiudizi, talvolta anticamera a fenomeni di violenza fisica, vuol dire attivare quella
educazione all’affettività e alla sessualità, partendo dalla scuola primaria/d’infanzia, atta ad
insegnare e praticare il rispetto delle differenze di genere contro gli stereotipi, gli atteggiamenti
sessisti, il peggiore patriarcato.
Non va arrestato quel processo culturale di emancipazione collettiva che, passando attraverso la
scuola, investe l’intera società.
La seconda questione che si pone è evidenziata dallo “Studio Nazionale Fertilità”, promosso dal
Ministero della Salute e concluso a fine 2018, che ha scattato per la prima volta in maniera completa una fotografia delle conoscenze, dei comportamenti e degli atteggiamenti in ambito sessuale e riproduttivo delle diverse fasce della popolazione potenzialmente fertile (adolescenti, studenti universitari e adulti), e fornisce un focus sulle conoscenze e comportamenti dei professionisti sanitari (pediatri di libera scelta, medici di medicina generale, ginecologi, andrologi, endocrinologi, urologi, ostetriche).
Da questa fotografia emerge un dato molto interessante: la maggior parte dei ragazzi e degli studenti universitari cerca le informazioni in ambito sessuale e riproduttivo su internet (solo 1 su 4 in famiglia) ma quasi tutti (94%) ritengono che la scuola dovrebbe garantire l’informazione su sessualità e riproduzione.
Il quadro è quello che vede prevalere una informazione “fai da te”, tendenzialmente non guidata, priva di relazioni educative autorevoli che sappiano accompagnare un processo complesso quale è l’esplorazione della propria sessualità, il rapporto con l’altro, il collegamento tra sessualità e progetti di vita.

Si aggiunge poi, come criticità, il tema della scarsa affidabilità delle informazioni raccolte dal web e della pericolosità della fruizione di pornografia online fin dall’età infantile che assumono una funzione di supplenza, diventando fonti di informazioni che spesso fanno da cassa di risonanza anche alla normalizzazione della violenza e della prevaricazione nelle relazioni di intimità.
Altro dato significativo della ricerca è la conferma dell’elevata percentuale di adolescenti che hanno rapporti sessuali completi: un adolescente su tre dichiara di aver avuto rapporti completi prima dei 17 anni (i maschi nel 35% dei casi, le femmine nel 28%), mentre tra gli universitari l’85% degli intervistati dichiara di aver avuto il primo rapporto completo entro i 19 anni (il 75% entro i 18 anni). È inoltre sempre meno presente un percorso di progressivo avvicinamento e scoperta della sessualità: il rapporto completo è spesso molto precoce, prima ancora che la relazione affettiva si sia chiarita.
Inoltre, la conoscenza dei fattori di rischio per la salute non sempre è adeguata, con un gradiente di conoscenze che peggiora dal Nord al Sud.
Quel che appare evidente è che oggi bisogna passare dal dare informazioni sulla sessualità all’educare all’affettività ed alla sessualità, attraverso un confronto relazionale che tenga conto dei diversi bisogni e delle differenti aspettative, in modo da offrire a tutti, dai “più piccoli” ai “più grandi”, delle risposte di senso, per costruire insieme una serena idea di sessualità:
E’ dunque tempo di promuovere nelle scuole una adeguata educazione ai temi dell’educazione affettiva e sessuale facendo sì che diventi materia di insegnamento curriculare, in linea con gli insegnamenti dell’OMS e attraverso un’alleanza tra scuole e SSN, tenendo conto degli obiettivi, dei soggetti, delle risorse, dei saperi umanistici e scientifici e delle relazioni che li legano, attraverso un approccio olistico.
Per concludere sappiamo anche che le idee che vengono diffuse sulla “Teoria Gender”:

  • non constano di alcuna evidenza empirica
  • sono basate su ideologie e opinioni valoriali
  • contrastano il diritto soggettivo legato alle libertà individuali
    Si è invece erroneamente diffusa tra genitori poco informati la preoccupazione che, nelle
    scuole, ambiente da loro considerato spazio neutro e protetto, i propri bambini si troveranno
    ad adottare e ad acquisire pratiche sessuali, a conoscere e ad usare metodi contraccettivi e
    ad avere rapporti sessuali precoci, ad essere influenzati nel proprio orientamento sessuale,
    a cambiare genere. “.
    Il tutto è ben lontano dalla realtà. L’obiettivo di introdurre programmi formativi all’interno
    dell’istituzione scolastica, è espresso nel comma 16 della legge 107/2015 di Riforma su “La
    Buona Scuola”, che recita testualmente: “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura
    l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado
    l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le
    discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle
    tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge14 agosto 2013, n. 93,
    convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119″.
    Si tratta semplicemente di formare adulti del domani maggiormente sensibilizzati e attenti a non
    discriminare, consapevoli ed informati su tematiche di cui, ancora oggi, si conosce poco, per timore o per pregiudizio.
    A sventare ogni allarmismo è opportuno ricordare che ogni istituzione scolastica elabora il proprio Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) elaborato dal collegio docenti ed adottato dal CdI organo di governance democratica della scuola di cui i genitori fanno parte.
    Il Piano che comprende contenuti, modalità didattiche e progettualità autonome della scuola è sottoposto alla visione ed assenso dei genitori all’atto dell’iscrizione insieme al Patto di Corresponsabilità Educativa che formalizza un rapporto di conoscenza e condivisione partecipata tra scuola e famiglie.
    Cogliamo inoltre l’occasione per sottoporre all’attenzione di codesta Commissione un documento ,alla cui elaborazione anche la nostra associazione ha partecipato, presentato in occasione dell’anniversario della ratifica da parte dell’Italia della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, dal Gruppo CRC dal titolo “Educazione all’affettività e alla sessualità: perché è importante introdurre la Comprehensive Sexuality Education nelle scuole italiane”. In esso si sostiene la necessità di introdurre l’educazione all’affettività e alla sessualità nei curricula scolastici fin dalla scuola dell’infanzia, secondo quanto indicato dalle Linee guida UNESCO e dagli standard OMS, che ben evidenziano come per promuovere una cultura all’affettività e alla sessualità sia necessario adottare un approccio trasversale e comprensivo, che consideri ogni sfera dell’esistenza e che sia affrontata fin dall’infanzia come un percorso di affiancamento alla crescita adattato ad ogni età in maniera corrispondente allo sviluppo delle capacità.

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